Il grande invaso di Ridracoli è in grado di soddisfare il 50% del fabbisogno idrico romagnolo. Nel territorio di Forlì-Cesena, esistono anche fonti di natura prevalentemente sotterranea (di falda) che contribuiscono con un 10% a implementare la produzione idrica attraverso una serie di pozzi presenti sia nel cesenate che nel forlivese.

Diga di Ridracoli

La Diga di Ridracoli sorge all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Parco di Campigna e Monte Falterona, lungo il corso del fiume Bidente nell’alto Appennino tosco-romagnolo. Si tratta di un’opera d’ingegneria all’avanguardia i cui lavori sono iniziati nel 1975, dopo 13 anni di studi, e completata nel 1982.

Il serbatoio artificiale di Ridracoli che alimenta il grande acquedotto, inaugurato nel 1988, serve il territorio di Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e la Repubblica di San Marino assicurando a 950.000 abitanti e a milioni di turisti un’acqua di ottima qualità.
La Diga è un fulgido esempio di intervento altamente tecnologico che ha saputo integrarsi perfettamente nell’ecosistema esistente, nel pieno rispetto della natura.

La diga ad arco-gravità ha un’altezza di 103,5 m e una lunghezza di 432 m. Il lago ha una superficie di 1,035 kmq, l’invaso una capienza di 33 milioni di mc di acqua di alta qualità perché si trova in una zona di elevato valore naturalistico, priva di insediamenti umani e produttivi.
Per controllare in qualsiasi momento la qualità dell’acqua, è stata predisposta un mappa interattiva in diretta.

Per rispondere adeguatamente ai fabbisogni dei Comuni è stato predisposto un piano di ripartizione, aggiornato regolarmente, che tiene conto delle diverse esigenze, senza escludere l’utilizzo delle risorse locali, di falda e superficiali anzi, provvedendo ad integrarle ed a razionalizzarne l’utilizzo.

Sulle orme di illustri predecessori come Traiano e Teodorico, Romagna Acque-Società delle Fonti S.p.A ha realizzato l’opera pubblica più importante fra quelle costruite in Romagna in epoca moderna, dando corpo a un antico e ambizioso disegno: dissetare la pianura con le acque dell’Appennino.

A inizio secolo, con la grande opera di bonifica della bassa pianura romagnola, fino ad allora immensa distesa di paludi ed acquitrini dove regnavano tifo e malaria, la struttura economica e sociale si trasformò rapidamente. Per far fronte al consistente sviluppo della presenza umana e delle attività agricole e industriali, si iniziò a pompare l’acqua dal sottosuolo, attivando migliaia di pozzi artesiani.

Acqua di qualità mediocre, ricca di sali minerali di vario genere, necessaria comunque, per bere e per irrigare i campi. Nessuno poteva prevedere che dopo poco si sarebbe affacciato il problema della subsidenza, del progressivo abbassamento del suolo. Infatti, negli anni ‘50, per i crescenti bisogni delle attività industriali e un’agricoltura sempre più intensiva ed esigente, i prelievi dalle falde di acqua divennero troppo massicci e rapidi, provocando anche intrusione di acqua marina nelle falde sotterranee.

Per correre ai ripari, prima che il fenomeno assumesse proporzioni catastrofiche, era necessario interrompere i prelievi dal sottosuolo e pensare a come fornire acqua alle popolazioni. L’invaso di Ridracoli fu la risposta non solo al problema di fornire acqua di qualità migliore, ma anche al grave depauperamento delle risorse idriche.

Dei tre sbarramenti che la Società aveva in programma – Montefiorito sul fiume Conca, Montecastello sul Savio, Ridracoli sul Bidente –, quest’ultimo presentava l’eccezionale contemporanea presenza delle caratteristiche più idonee: la posizione centrale e dominante dell’area da servire; la morfologia e la struttura geologica caratterizzate da grande impermeabilità, tale da assicurare il contenimento del prefissato accumulo di oltre 30 milioni di mc d’acqua; l’assenza di abitazioni, strade, manufatti nell’area dell’invaso; l’assenza in tutti i bacini derivabili di insediamenti produttivi, fonte di possibili inquinamenti; la composizione chimica e la temperatura, che rendono l’acqua particolarmente idonea all’uso potabile; la pressoché totale copertura dei bacini da boschi cedui e d’alto fusto che, riducendo l’apporto solido, assicura un lungo periodo di alta efficienza dell’investimento.

Il fiume Bidente nasce dall’Appennino tosco-romagnolo nei pressi del Monte Falterona. Esso ha origine da tre corsi d’acqua: il Bidente di Corniolo, che nasce dalla confluenza di due rami provenienti da poggio Scali e dal Passo della Calla; il Bidente di Ridracoli, che nasce dalla confluenza di diversi rami secondari e che si unisce al Bidente di Corniolo all’altezza di Isola; il Bidente di Pietrapazza che nasce dal Passo dei Mandrioli e si unisce agli altri due rami pochi chilometri a monte di Santa Sofia.
Il fiume poi scorre lungo l’omonima valle e poco dopo aver ricevuto l’affluente di destra Voltre, raggiunge Meldola e da qui assume il nome di Ronco. Si unisce infine nei pressi di Ravenna con il fiume Montone, dando origine ai Fiumi Uniti, per sfociare infine in Adriatico a Lido di Dante.

L’intera area dei bacini, dal crinale fin oltre le zone interessate dalle opere di sbarramento e derivazione della diga, è caratterizzata dalla formazione marnoso-arenacea che presenta uno spessore di oltre 5.000 metri e che ne garantisce l’altissima impermeabilità. Essa è costituita da un’alternanza di strati di arenarie e di marne, di spessori variabili da pochi centimetri ad oltre 5 metri, fortemente cementati da legante carbonatico.

Potabilizzatore di Capaccio

L’impianto di potabilizzazione è situato a pochi chilometri a valle del bacino, ad appena 2 km da Santa Sofia, in località Capaccio, circondato da uno splendido parco giochi attrezzato e da un percorso vita. La sua funzione è importantissima: come suggerito dal nome, rende l’acqua adatta ad essere bevuta. All’ingresso della struttura si trova una fontana in bronzo realizzata dallo scultore Francesco Somaini, un monumento dedicato ai caduti durante i lavori di costruzione della diga e dell’acquedotto.

L’impianto è in grado di garantire una portata nominale di 3.000 litri al secondo ed una portata di punta di 3.600 litri al secondo con i valori normali di torbidità in arrivo e trattare, a portata ridotta, acqua con valori di torbidità superiore a 250/300 NTU, con caratteristiche dell’acqua potabilizzata conformi ai requisiti richiesti dalle vigenti norme in materia di qualità delle acque destinate al consumo umano.

A Capaccio troviamo anche il “cervello” che regola le funzioni della diga e dell’acquedotto: è il Centro Operativo, in cui ha sede la centrale di telecomando e telecontrollo, un moderno sistema di monitoraggio dell’intera rete distributiva dell’acquedotto. Attraverso un sofisticato complesso di cavi a fibre ottiche, i tecnici della centrale ricevono, 24 ore su 24, in tempo reale, i dati da ogni punto dell’acquedotto e gestiscono tutte le fasi di erogazione e controllo dell’acqua.

Da Capaccio, l’acqua viene trasferita alle vasche di accumulo di Monte Casale attraverso una condotta principale per poi essere immessa nei due anelli principali che compongono la rete distributiva della risorsa idrica.

Cosa fa il potabilizzatore

L’acqua proveniente dall’invaso di Ridracoli, dopo avere azionato il gruppo idroelettrico presente nella centrale ENEL di Isola, è sottoposta ad ossidazione – con biossido di cloro o permangato di potassio – per rimuovere sostanze organica, torbidità, eventuale ferro e manganese.

 

Dal torrino piezometrico partono due tubazioni del diametro di 1.200 mm che alimentano le due linee parallele da 1.500 l/s su cui è articolato l’impianto. La regolazione della portata è effettuata tramite valvole a farfalla e misuratori di portata tipo Venturi.

La preclorazione viene garantita da 4 centraline che producono biossido di cloro preparato sul posto con una reazione fra clorito sodico e acido cloridrico. La fase di condizionamento chimico e preclorazione rimane suddivisa in quattro linee parallele e la ripartizione della portata a ciascun chiariflocculatore è ottenuta per mezzo di paratoie motorizzate e comandate dal calcolatore.

Il trattamento di chiariflocculazione dell’acqua viene effettuato in 4 chiariflocculatori Cyclofloc. Viene introdotta nell’acqua greggia microsabbia di granulometria 20-100µm che agisce come innesco di coagulazione e come zavorra per le materie coagulate, accelerandone notevolmente la sedimentazione e aumentando la superficie di reazione

Le batterie filtranti sono costituite da 16 unità alimentabili singolarmente mediante feritoie equipaggiate con clapet di non ritorno. Il funzionamento di ciascun filtro è a “portata costante” e la regolazione del sistema avviene in modo totalmente automatico comandato dal sistema computerizzato di controllo.

L’acqua filtrata viene sottoposta a disinfezione con biossido di cloro oppure con ipoclorito di sodio, in relazione alle condizioni generali di funzionamento dell’Acquedotto della Romagna, aggiunto in linea prima dell’ingresso nell’accumulo finale.

Per l’accumulo dell’acqua trattata è stata costruita una vasca di volume utile totale di 10.237 mc, dei quali 1.234 vengono tenuti costantemente a disposizione per il lavaggio dei filtri.

I fanghi separati nelle fasi di chiariflocculazione e filtrazione sono avviati alla vasca di raccolta scarichi e da questa proseguono fino agli ispessitori ed ai successivi separatori centrifughi.

L’impianto è dotato di un laboratorio interno gestionale per il controllo del ciclo dell’acqua. Nel laboratorio, fornito delle più moderne apparecchiature, vengono controllate le varie fasi del processo, le caratteristiche dell’acqua potabilizzata e vengono analizzati i campioni di acqua prelevati sistematicamente ai punti di consegna dei Comuni. Complessivamente vengono effettuate quasi 50.000 determinazioni su 5.000 campioni ogni anno.

Altri impianti

L’impianto dei Romiti è stato realizzato nel 1977 e ammodernato nel 2003. Ubicato sulla conide del fiume Rabbi-Montone viene attivato stagionalmente a seconda delle esigenze della città di Forlì e riceve acqua greggia da diversi pozzi presenti nella zona circostante.

Sempre nel forlivese, in territorio urbano, sono presenti altri due impianti di trattamento: Montaspro e Pandolfa.
L’impianto di Montaspro, ubicato nella zona dell’aeroporto riceve acqua dai 20 pozzi della zona limitrofa, ed è il maggior centro di produzione dell’area forlivese. L’impianto è attivo ininterrottamente. Se occorre, parte della risorsa può essere sollevata e miscelata a Monte Casale con acqua di Ridracoli. L’impianto di via Pandolfa, ristrutturato nel 1986, riceve acqua da 5 pozzi della zona limitrofa.

Lungo la vallata del fiume Savio, nella zona di Bagno di Romagna ci sono 23 sorgenti e 2 opere di presa superficiali mentre la zona di Mercato Saraceno è servita da un impianto di produzione e potabilizzazione limitrofo.
In prossimità della conoide alluvionale intermedia, su cui sorge l’abitato di Cesena, ci sono due campi pozzi che alimentano, insieme alle acque dell’acquedotto della Romagna, il serbatoio dei Cappuccini.
Presso Montepetra Bassa (Sogliano al Rubicone – FC) si trova un impianto di potabilizzazione di recente costruzione in grado di soddisfare le zone adiacenti.