Sono trascorsi cento anni dal terremoto di Santa Sofia del 10 novembre 1918, un evento collocato all’interno di una crisi sismica che coinvolse l’Appennino tosco-romagnolo dal 1917 al 1920.
La prima forte scossa avvenne il 2 dicembre 1917 con danni a Galeata, Civitella e ad alcune frazioni di Santa Sofia; il 29 giugno 1919 un forte terremoto con epicentro nel Mugello incise ulteriormente sui danni nelle aree già precedentemente colpite.

Le iniziative dedicate al ricordo

Oggi, a distanza di un secolo, l’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna, il Comune di Santa Sofia e Romagna Acque–Società delle Fonti (con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Rai Emilia-Romagna) organizzano due giornate di iniziative legate a quell’evento, in programma a Santa Sofia venerdì 28 e sabato 29 settembre.

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“Appennino Romagnolo – Santa Sofia 1918-2018. Cento anni di conoscenze per convivere con il terremoto”, è il titolo dell’iniziativa: il ricordo di quell’evento, i cento anni trascorsi, il ripetersi di eventi sismici minori, la presenza di una vivace economia, la convivenza con questi fenomeni, saranno temi che si rincorreranno durante la giornata di convegno prevista venerdì 28 al teatro Mentore di Santa Sofia, mentre nella mattinata di sabato 29 sono in programma due visite guidate alla diga di Ridracoli (dalla Sala Controllo al coronamento, fino al piede Diga e ai cunicoli).

L’evento sismico del secolo scorso

Il terremoto del 10 novembre 1918 fu avvertito su un’area estesa alle province di Forlì-Cesena, Arezzo, Firenze, e nella vicina regione Marche. I danni maggiori si ebbero a Santa Sofia e a Bagno di Romagna: complessivamente si ebbero 25 morti ed un numero di feriti non conosciuto, oltre a centinaia di case demolite e puntellate. Appena un mese dopo vi fu l’esondazione del fiume Bidente che aggravò i danni nelle località che sorgevano lungo la vallata. I danni sismici si abbatterono su un’area caratterizzata da una economia prevalentemente agricola e pastorale, in un tessuto edilizio povero, materiali da costruzione costituiti da pietre e/o sassi di fiume arrotondati tenuti insieme da una malta inadeguata, come pure le travi in legno risultate in più punti logore dai tarli.
Dalle cronache si legge che le travi, i travetti, i muri, erano stati collocati senza prestare attenzione alle esigenze delle regole costruttive. La gravità degli eventi si sommò al particolare momento storico, a cavallo fra la Grande Guerra e i successivi drammatici anni, con un crescendo di crisi economica e conflittualità sociale. Già nel dicembre del 1918 lungo la valle del fiume Bidente si era accampato oltre un migliaio di profughi senza dimora. Scosse di terremoto continuarono anche nell’anno successivo, creando danni a tutte le comunità montane del territorio. Si creò allora una “rete” fra tutti i comuni coinvolti, romagnoli e toscani: che permise in tempi rapidi di dare una prima risposta agli sfollati, e quindi diede vita in pochi anni alle opere di ricostruzione, che già negli anni Quaranta era completamente effettuata (anche se gli alloggi temporanei per gli sfollati rimasero comunque utilizzati fino a metà degli anni Cinquanta).