Ecco le parole che il presidente di Romagna Acque gli ha dedicato durante la celebrazione per il decennale della scomparsa

La storia di Angelo Satanassi alla guida del Consorzio Acque per le provincie di Forlì e Ravenna iniziò nel 1970 quando, eletto sindaco di Forlì nelle file del Partito comunista, prese possesso della carica di presidente, secondo quanto stabiliva lo statuto. Satanassi era un profondo conoscitore della macchina municipale e anche delle vicende legate al progetto di Ridracoli, perché era stato consigliere dell’opposizione alla giunta di Icilio Missiroli quando questi era sindaco e aveva avviato il progetto. 

Sotto la sua guida il Consorzio conobbe un grande slancio: le riunioni del consiglio direttivo e dell’assemblea si fecero più frequenti che in passato, i dubbi che ancora pochi mesi prima qualche socio esprimeva sulla funzione e i compiti precisi che il sodalizio si doveva dare svanirono, e ci si concentrò sulla realizzazione del progetto di Ridracoli. Ebbe insomma via libera la vera e propria fase esecutiva dopo anni di dibattiti, anche grazie al solido asse politico instauratosi con Aristide Canosani, sindaco di Ravenna, che continuava a mantenere intatto il proprio interesse per Ridracoli. 

A dimostrazione del nuovo corso appena inaugurato, Satanassi si rivolse alla popolazione forlivese in un breve scritto del giugno 1971 pubblicato sulla stampa locale, rivendicando i passi già effettuati a livello tecnico e amministrativo in merito alle procedure di approvazione dell’Acquedotto di Romagna, e in particolare della diga, che ne costituiva il primo stralcio. Da sincero democratico, Satanassi era convinto che l’intera popolazione dovesse essere informata degli sforzi condotti dal Consorzio, nella convinzione personale che occorresse mobilitare le forze popolari della Romagna per far sì che il governo centrale si rendesse meglio conto di quanto l’investimento, assai cospicuo e alla portata solo delle casse statali, fosse indispensabile per placare la sete dei cittadini romagnoli e dei tanti turisti della Riviera.

Pertanto, negli anni che seguirono Satanassi si impegnò strenuamente per superare da un lato le pastoie burocratiche che rallentavano il progetto, dall’altro per perfezionarlo in continuazione, grazie al lavoro dei tecnici del Consorzio, in modo da assolvere alle continue osservazioni che il Ministero dei Lavori pubblici non mancava di apportare, sulla scorta anche di un’opinione pubblica nazionale che non aveva dimenticato il dramma del Vajont. La questione fondamentale era infatti quella della sicurezza. In questo campo sia gli organi ministeriali sia le iniziative del Consorzio furono mirati a ottenere la massima garanzia possibile che la diga e l’invaso non sarebbero sorti in luoghi e in modi inadeguati. Per esserne certo, il Consorzio si rivolse ai migliori professionisti del settore, luminari della geologia e dell’ingegneria italiani e stranieri, e si avvalse dell’opera dell’Istituto sperimentale modelli e strutture (Ismes) di Bergamo, all’avanguardia in Italia in questo settore, al quale furono affidate indagini geosismiche «di carotaggio sonico», per avere certezza della consistenza della roccia nella zona di Ridracoli. Nell’agosto 1974 fu anche organizzata una visita all’Ismes durante la quale Satanassi e altri amministratori del Consorzio, accompagnati da alcuni giornalisti, poterono rendersi conto di persona delle prove cui erano sottoposti i modelli che riproducevano perfettamente, ovviamente in scala assai minore, i manufatti progettati.

Tutte le ingenti spese furono sostenute attraverso mutui di volta in volta concessi dalla Cassa depostiti e prestiti, e che erano richiesti dal Consorzio stesso, dotato di personalità giuridica, per non gravare solamente sui Comuni che ne facevano parte. Un fondamentale aiuto venne dalla Regione Emilia-Romagna, anch’essa, come il Comune di Forlì, guidata da una giunta di sinistra, dove Satanassi trovò interlocutori pronti a sostenerlo nell’ «affrontare – sono parole sue – [gli] innumerevoli problemi di ordine tecnico e finanziario connessi alla realizzazione della importante opera». La giunta regionale fornì un importante aiuto predisponendo un progetto di legge con il quale finanziare la costruzione della diga, dando in tal maniera, come disse Satanassi nel maggio 1974,

l’avvio concreto a questa grande opera di interesse interprovinciale e regionale, che corrisponde ad una delle principali scelte prioritarie dei programmi dell’Emilia-Romagna ed è tesa a risolvere, finalmente, uno dei più importanti nodi dello sviluppo economico-produttivo e socio-civile di 25 Comuni forlivesi e ravennati, compresi i capoluoghi di provincia, di circondario e di comprensorio, di oltre 600.000 abitanti ed ospitanti, nei mesi estivi, una ulteriore popolazione fluttuante, di tipo turistico nazionale ed internazionale, di oltre 200.000 unità.

Il progetto di legge si sarebbe tramutato in testo definitivo poche settimane dopo, con la legge regionale n. 28 del 10 luglio 1974.

Nel giro di cinque anni Satanassi era riuscito a far approvare il progetto esecutivo da parte del ministero e a trovare sufficienti finanziamenti per avviare i lavori. In tal modo, a metà decennio, fu possibile avviare i lavori di costruzione della diga.

Tuttavia, negli anni successivi non mancarono di presentarsi nuovi, enormi problemi che misero a repentaglio la sua realizzazione. L’esplodere dei costi, per le grandi difficoltà incontrate dal cantiere e un’inflazione che viaggiava a due cifre, erosero il capitale a disposizione. Come se non bastasse, una nuova minaccia mortale per il progetto venne dall’esposto presentato alla magistratura da alcune associazioni ambientaliste, che non ritenevano sufficientemente sicura la diga e che ritenevano che la realizzazione dell’invaso artificiale avrebbe alterato per sempre, e in peggio, l’ambiente della valle del Bidente. 

Satanassi si impegnò in prima linea per controbattere tali timori. Sono rimaste nella memoria collettiva le assemblee pubbliche che condusse davanti ai cittadini delle comunità della valle, nella convinzione che fosse necessario parlare direttamente alla popolazione della bontà e della necessità della diga, con coraggio e senza sottrarsi al contraddittorio. Tenne inoltre insieme l’alleanza con Ravenna, fondamentale perché un investimento come quello, ingentissimo, richiesto allo Stato per completare l’opera continuasse a essere giustificato, e respinse l’ipotesi che il progetto di Ridracoli potesse superato da quello che prevedeva il prolungamento del Canale emiliano-romagnolo, che raccoglieva l’acqua del Po e che era ben lungi dall’essere completato. Comprese, come anche la giunta regionale, che le due opere potevano essere complementari ma aveva ben chiaro che il nucleo fondante del futuro Acquedotto di Romagna poteva essere solo la diga di Ridracoli.

La sua presidenza al Consorzio Acque, durata nove anni, fu quindi caratterizzata da due fasi, entrambe estremamente impegnative: la prima, durante la quale la sua guida diede un’accelerazione decisiva al progetto e poi all’avvio dei lavori, dopo aver superato enormi ostacoli; la seconda, a lavori iniziati, in cui il difficile reperimento dei finanziamenti necessari al proseguimento dell’opera si affiancò alla strenua difesa dalle accuse di chi ne metteva in dubbio la sicurezza.

In questa storia ricca di pragmatismo ma anche di grandi difficoltà da superare, per Satanassi la svolta si ebbe quando, candidatosi alle elezioni politiche del 1979, fu eletto e dovette lasciare la carica di sindaco e, di conseguenza, quella di presidente del Consorzio Acque. Fu Giorgio Zanniboni a raccoglierne il testimone e portare avanti la lotta per la realizzazione dell’Acquedotto di Romagna, mentre Satanassi continuò a condurre le proprie battaglie per la Romagna dagli scranni del Parlamento.